Uscito nel maggio del 2009, questo libro si è immediatamente installato ai primissimi posti delle classifiche di vendita. E non sembra minimamente accusare flessioni. Visti i contenuti, la circostanza dovrebbe rappresentare un evento. Invece, quasi nessun mezzo di informazione ne parla. Perché?
L’autore, inviato di
Panorama, ha potuto avere accesso all’archivio di documenti di mons. Renato Dardozzi, morto nel 2003 e a lungo impegnato nella gestione dello IOR, la “banca” del Vaticano coinvolta nei più importanti scandali finanziari italiani negli ultimi quarant’anni. Dardozzi, nel suo testamento, avrebbe espresso il desiderio di rendere pubblici tali documenti, che sono stati consegnati a Nuzzi e sono ora parzialmente riprodotti non solo all’interno del libro, ma sono altresì disponibili anche online,
sul sito dell’editore, seppure attraverso una procedura un po’ farraginosa.
La consultazione di tali documenti sembrerebbe fugare ogni dubbio sulla plausibilità delle fonti. Lo stile giornalistico dell’autore mal si concilia, ma non potrebbe del resto essere diversamente, con le lunghe citazioni scritte in ecclesiastichese da una pluralità di prelati. La lettura non è dunque facilissima, ma lo sforzo è ampiamente ripagato.
Trattando dello IOR, ci si aspetterebbe che il protagonista delle pagine sia il ‘famigerato’ mons. Paul Marcinkus: l’archivio Dardozzi riguarda invece soprattutto mons. Donato De Bonis, che raccolse l’eredità del controverso arcivescovo statunitense. In tutti i sensi: pare che anche De Bonis si sia appropriato di considerevoli somme non sue. Il libro ne tratteggia in lungo e in largo le imprese (quasi mai limpide), la più notevole delle quali fu il coinvolgimento nello scandalo Enimont, che si chiuse con le condanne di politici quali Forlani, Craxi, Martelli, Pomicino, Bossi, La Malfa. Lo IOR fu il canale principale attraverso cui transitò una maxitangente di oltre cento miliardi di lire. Da
Vaticano S.p.A. si viene a sapere che Oltretevere disponevano di una talpa all’interno del palazzo di giustizia, perché conoscevano in anticipo le mosse che avrebbe fatto il pool di Mani Pulite: con cui il Vaticano collaborerà solo il minimo indispensabile (sufficiente comunque per ottenere titoloni riconoscenti sulla stampa nazionale). Lo IOR, attraverso De Bonis, sarebbe rimasta in possesso di una sorta di tangente sulla tangente: ma di questo è riuscito a non rendere conto a nessuno.
Ad aiutare lo IOR a insabbiare il caso ci fu anche Franzo Grande Stevens, l’avvocato della FIAT, mentre uno dei detentori dei conti cifrati sarebbe Giulio Andreotti. Di fronte a nomi di questo calibro non stupisce il silenzio della stampa italiana: questo è un libro che accusa non solo la Chiesa, ma un intero sistema di potere. Non stupisce nemmeno il silenzio dei vertici cattolici: poiché le fonti sono dichiarate, per il Vaticano sarebbe facile smentirle. Se non lo fa, se non ha nulla da dire su un libro così venduto, si fa strada il sospetto che non lo possa fare, e che l’autore abbia colto nel segno.
Nel libro si parla anche di altre storie, un poco slegate fra loro, ma tutte contraddistinte dalle malversazioni di alcuni prelati: dall’assegno di dieci miliardi di lire fatto sparire da un cardinale all’arresto per truffa di mons. Colagiovanni, fino ai soldi dell’ex ministro Prandini misteriosamente scomparsi una volta affidati all’esorcista don Balducci.
Dalla lettura di queste pagine emerge una sostanziale incapacità del mondo cattolico di restare in linea non dico col dettato evangelico, ma almeno con quell’onestà di base che sempre dovrebbe contraddistinguere ogni relazione. Le sue capacità finanziarie sono invece comprovate: lo IOR è floridissimo, grazie anche all’immunità legale di cui dispongono i suoi dirigenti, alla mancata adesione alle convenzioni internazionali in materia di riciclaggio e all’assoluta assenza di trasparenza: caratteristiche che ne fanno uno degli istituti bancari, nell’intero pianeta, attraverso il quale è più facile gestire denaro di provenienza illecita. Come infatti avverrebbe realmente, stando alle dichiarazioni di Massimo Ciancimino riportate in coda al libro: presso lo IOR sarebbero depositati anche i proventi del clan mafioso dei corleonesi.
Per una strana coincidenza, le persone a cui il Vaticano affida la gestione dei propri fondi si rivelano quasi regolarmente dei poco di buono. Sorprende che le gerarchie ecclesiastiche abbiano una tale difficoltà a trovarne di onesti. Forse sono solo sfortunatissimi, e Dio si diverte a mettere continuamente in imbarazzo la sua chiesa. Oppure, più facilmente, non ne vogliono. Quando mai vedremo un don Gallo presiedere lo IOR?